Il digitale non è un clan per maschi, è ora che le donne entrino nel magico mondo della tecnologia

Lo dice l'Onu, lo ribadisce la UE: è ora che gli stereotipi di genere vengano superati. Perché il futuro ha bisogno di loro (e delle loro soft skills)

Se siete alla ricerca di qualche motivo di ottimismo in quest’epoca di pandemia, qui ne troverete almeno due. Il primo: il lockdown e la tendenza a stare di più in casa hanno provocato un’accelerazione digitale che potrebbe tornare utile al nostro Paese, che è messo maluccio nelle graduatorie europee sulla digitalizzazione: al 24° posto su 28, con un DESI - Digital Economy and Society Index – di 43,9 contro la media europea del 52,5.

«Negli ultimi otto mesi abbiamo usato di più ogni tipo di servizio digitale, incluso l’e-commerce, e il numero di online buyers è passato da 23 a 25 milioni: forse non si può parlare di rivoluzione digitale, ma di accelerazione sì», spiega Maria Teresa Minotti, Director di PayPal Italia. Il secondo motivo di ottimismo è legato al primo: un crescente sviluppo digitale si accompagna inevitabilmente a un aumento di posti di lavoro. «In base alla ricerca LinkedIn Emerging Jobs Italia, 7 su 10 delle professioni più richieste oggi sono legate alle innovazioni tecnologiche. Al primo posto ci sono gli sviluppatori di software, seguiti da altri settori come il digital marketing e l’analisi dei dati. In questi ambiti le donne sono ancora troppo poche e la ragione per questo gap è esclusivamente culturale», aggiunge Minotti.

Lo svantaggio dell'Italia in termini di digitalizzazione va guardato da molteplici punti di vista. Il primo è quello dell'inclusione digitale, come spiega Gianna Martinengo, vera e propria pioniera nel settore (il primo software didattico italiano, che oggi si trova nel Museo dell’Informatica e della Didattica dell’Università La Sapienza di Roma, lo ha progettato e sviluppato lei) e fondatrice dell’associazione Donne e Tecnologia: «Significa che tutta la popolazione, incluse le fasce più deboli come anziani, disoccupati, immigrati, deve avere accesso alle competenze digitali di base, considerando tra l’altro che molti servizi pubblici, inclusi quelli sanitari, sono ormai online». Il secondo è quello della cultura digitale: «Dovrebbero farsene carico soprattutto le aziende, per passare ai dipendenti il messaggio che la tecnologia non è semplicemente uno strumento per lavorare in maniera più rapida e funzionale, ma consente di assumere un mindset diverso. Se usata consapevolmente, determina un vero cambiamento nel modo di pensare, di risolvere i problemi, di interfacciarsi con i colleghi».

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ELLE
05 Novembre 2020